sabato 13 ottobre 2012

Un'analisi del Signore degli Anelli


Per coloro per cui Il Signore degli Anelli non è altro che un film con grandi effetti speciali, per coloro per cui si tratta di un libro per ragazzi, per coloro per cui è un mattone troppo lungo e pesante, ma anche per chi l’ha trovato bello ma non ha mai avuto tempo o voglia di approfondirne i contenuti, ho deciso di condensare qualche pensiero e dare qualche spunto per farlo.

Diventare un mito       
      
“The Lord of the Rings” è il mio libro preferito. Perché? Perché Tolkien è stato capace di costruire una fiaba che è divenuta mito. Quale altro romanzo è mito? Tolkien stesso pensava che “Leggende e miti siano fatti di verità, e in realtà presentino aspetti della verità che possono essere recepiti solamente sotto questa forma”. Nel leggere il Signore degli Anelli, si percepisce qualcosa di magico e profondo. E’ come guardare la superficie di un profondo oceano, come affacciarsi sull’inconscio collettivo. “Ho sempre avuto la sensazione di registrare qualcosa che c’era già, da qualche parte: non di inventare”. L’ossessione di Tolkien, che dedica la propria vita all’elaborazione di un mondo e di una storia, ha dato decisamente i suoi frutti, e il suo lavoro è alla base di tutto il fantasy moderno o meno. E non solo.
La trama è ben conosciuta: si tratta del cammino di alcuni eroi mirato alla distruzione dell’anello del potere, artefatto che, se dovesse cadere in mano all’oscuro signore, comporterebbe la vittoria del male e la fine del mondo. Detta così è veloce e indolore, vero? Invece la storia è, ovviamente, davvero lunga e si articola in tre libri-capitoli.

La religione nascosta

Il romanzo presenta un forte elemento religioso, cattolico, ”radicato nel simbolismo e nella storia stessa” in modo  implicito, talmente implicito che non si sente mai parlare di culti o religione. Eppure è così, e anche molti personaggi riflettono gli ideali cristiani: Aragorn e Gandalf, gentili e altruisti, Galadriel che rispecchia Maria, Radagast San Francesco (un certo atteggiamento francescano si sente in gran parte del libro), Frodo con la sua umanità e debolezza, e Sam, nelle intenzioni dell’autore il reale protagonista della vicenda, che rappresenta un ideale di uomo, proletario umile e dedito con felicità all’aiuto e servizio degli altri. Il Silmarillion, ove tutto è mito, spesso fa il verso alla Bibbia, a partire dalla Genesi e creazione del mondo, con la caduta di Lucifero-Melkor.
Quello della religione è un aspetto molto importante, complesso e controverso del libro, che si realizza appieno nello straordinario finale: Frodo ha la volontà di attuare il bene ma non la forza per farlo, e sul ciglio di monte fato la sua volontà logorata cede e rifiuta di distruggere l’anello. Tuttavia l’anello viene comunque distrutto, grazie all’intervento imprevisto e non voluto di Gollum. Gollum, che Frodo ha in più occasioni deciso di salvare nonostante apparisse come una creatura malvagia, seguendo il consiglio di Gandalf secondo cui non bisogna essere veloci a giudicare, e secondo cui tutti abbiamo un ruolo da svolgere. “Many that live deserve death. And some that die deserve life. Can you give it to them? Then do not be too eager to deal out death in judgement”. Come nella tradizione cristiana, accade spesso di finire in situazioni che trascendono le nostre possibilità. Situazioni in cui la tentazione è superiore alle nostre forze, e non vi è via d’uscita. A volte, sono gli atti che abbiamo compiuto in precedenza ad offrirci la possibilità di redenzione.

Alberi contro macchine

Ricorrente è l’invettiva contro la tecnologia. Diffidente verso il progresso scientifico, Tolkien mette in guardia soprattutto da quelle scoperte e macchinari finalizzati ad avere uno spinto controllo sulla natura e sugli altri, che portano con sé una sensazione di dominio. Isengard e Saruman sono il simbolo più chiaro di quella tecnologia distruttiva e noncurante che non porta alcun progresso all’uomo, ma piuttosto lo rende schiavo. Dopo lo scontro con i primordiali Ent, privato della sue progenie e delle infernali costruzioni, Saruman rimane un debole vecchio chiuso nella sua torre.
Tolkien ci ammonisce, e ci mette davanti agli occhi i problemi che sorgono quando si fa troppo affidamento su delle simili macchine o strumenti: ci si indebolisce, perché si riversa parte del proprio potere in essi. Si esternalizza la propria forza, apparentemente aumentandola, ma originando una maggior debolezza qualora questa fonte esterna dovesse venire meno. Pensate a quanto siamo dipendenti dai computer, o dalle auto.
L’unico anello stesso è un chiaro simbolo della tecnologia di dominio. Esso conferisce grandi poteri (e al contempo rende il suo artefice vulnerabile), ma ad un prezzo. Chi ne fa uso ne diventa sempre più dipendente, e la sua volontà si affievolisce. Non è un caso che chi lo indossi diventi invisibile. La sua essenza, personalità, è come se sparissero. Inoltre l’anello allunga la vita fino all’inverosimile: ma di quale vita si tratta, a questo punto? Bilbo si sente come una fetta di burro spalmata su troppo pane, perché la sua esistenza in qualche modo sta perdendo di significato. Questo ci porta ad un altro argomento.

Tutte le storie parlano di morte

Affrontato più volte, da più angoli, il tema della morte è centrale nel Signore degli Anelli quanto in altre opere di Tolkien. Molte delle vicende della Terra di Mezzo, in primis il Signore degli anelli, sono dominate da un senso di perdita, dalla sensazione della fine incalzante e vicina. L’entropia, la decadenza della vita, è insita in tutte le cose, nella struttura stessa del mondo. Questo fin dalla sua origine, quando Melkor rinunciò alla sua componente “angelica” per avere dominio sulle cose terrene, e insinuò il suo potere in esse corrompendole.
Per esplorare il tema basta riflettere sul carattere immortale degli elfi. Ci si interroga su cosa comporti l’immortalità: è questa che conferisce agli elfi la loro malinconia, la loro aria distante, e che incentra la loro cultura sul ricordo del passato piuttosto che sul presente. Gli elfi vedono scorrere davanti a sé un mondo mortale, e non possono fare altro che aggrapparsi ai ricordi degli antichi tempi dorati, quando la luce degli alberi di Valinor splendeva nella notte.
Gli uomini invece hanno un destino diverso, e sono costretti dopo brevi vite a lasciare il mondo terreno per l’ignoto. Racconti che presentano in modo tragico e poetico il tema della morte sono ad esempio quello di Beren e Luthien, la quale rinuncia alla sua immortalità per amore, o quello della caduta di Numenòr, il cui popolo viola le leggi divine alla ricerca di qualcosa che non gli è concesso, attirando su di sé la punizione sotto forma di un onda gigante che spazza via la loro civiltà (sì, come Atlantide).

In definitiva, l’atteggiamento da tenere verso la morte è quello di accettazione e speranza, una sorta di atto di fede. Inutile disperarsi, e infelici i tentativi di sfuggirle, magari tramite mezzi come l’anello. “In tristezza dobbiamo lasciarci, ma non nella disperazione” dice Aragorn ad Arwen “Guarda!non siamo vincolati per sempre a ciò che si trova entro i confini del mondo, e al di là di essi vi è più dei ricordi”.
Più illuminanti delle mie sono di sicuro parole dello stesso Tolkien, che in un’intervista alla BBC cita Simone de Beauvoir: “Human stories are practically always about one thing, really, aren't they? Death. The inevitability of death… 'There is no such thing as a natural death. Nothing that ever happens to man is natural, since his presence calls the whole world into question. All men must die, but for every man his death is an accident, and even if he knows it he would sense to it an unjustifiable violation.' Well, you may agree with the words or not, but those are the key spring of The Lord Of The Rings” .

Tette e spadoni

Di spade ce ne sono parecchie, di donne, a farci caso, poche. Questo ha sollevato domande e accuse di vari tipi. Ridicole. Il signore degli anelli non è ambientato nel terzo millennio, non c’è la parità dei sessi. I personaggi femminili potranno essere anche pochi, ma hanno comunque dei ruoli centrali che rispecchiano vari aspetti dell’idea che lo scrittore aveva dell’essere femminile.
Galadriel ha tutti gli attributi di una madre, potente e protettiva. Arwen, ancora meno attiva nel libro che nei film, incarna molti stereotipi di principesse, amate e lontane. In Eowyn, probabilmente la più interessante, risplendono la forza e l’indipendenza che possono brillare in una donna. Può sembrare che Tolkien abbia semplicemente creato una figura maschile in un corpo femminile, così non è, tutte le parti più importanti del cammino di Eowyn sono incentrate sul suo non essere uomo, a partire dallo scontro con il Re Stregone di Angmar. Amore non corrisposto, coraggio, lealtà, amicizia, famiglia, spirito di sacrificio, sono i tanti temi che circondano la figura della figlia di Theoden.

Le stelle al di sopra delle nubi

Perché mi capita così spesso di riprendere il mano il Signore degli Anelli, perché mi basta leggere qualche riga per ritrovare la serenità? Certo, c’è la componente di evasione. Distacco immediato dal complesso mondo reale per immergersi in tranquillizzanti paesaggi bucolici dove il male è facilmente individuabile, e le scelte da compiere sempre chiare ed epiche. Ma c’è qualcosa di più.
Sostanzialmente, il libro è costituito da centinaia di pagine in cui tutto sembra andare male all’inizio, e sempre peggio andando avanti. I momenti di pace e felicità sono pochi, e le ombre gravano anche su di essi. Domina la sensazione di una cosa malvagia, ineffabile e imbloccabile che si fa strada e cresce nel mondo e in ciascun individuo. Nessuno ha una vita troppo facile. Ma è fondamentale capire l’importanza del lottare per un fine. Del non disperarsi e deprimersi mai. Perché la speranza, anche se completamente folle, è inestinguibile e sempre nascosta da qualche parte. Come nel già abbastanza citato passaggio dove Sam, sperduto a Mordor, ritrova un attimo di serenità ammirando le stelle che per un momento si intravedono sopra le nuvole nere.


“There was sorrow then too, and gathering dark, but great valour, and great deeds that were not wholly vain.”
Questo è, per me, il cuore del Signore degli Anelli. Affrontare le tenebre e crescere sperando.

3 commenti:

  1. Mi sono rispecchiato molto in quello che hai scritto.
    Di tutti i libri, Il Signore degli Anelli è sicuramente quello che mi ha dato di più.
    Anch'io, come te, ogni tanto lo riprendo in mano, ne leggo qualche riga, qualche passaggio che mi piace particolarmente, e ritrovo la serenità.
    "Affrontare le tenebre e crescere sperando"... mi piace, penso tu abbia colto il segno.
    Complimenti per questa tua analisi.

    RispondiElimina
  2. Grazie del feedback! Fa sempre piacere quando qualcuno si prende la briga di arrivare in fondo al post, e ancora di più quando ne condivide i pensieri ;)

    RispondiElimina
  3. Il libro è nella mia top ten. Condivido in pieno la tua analisi. Mi viene in mente anche (per esempio) il potere curativo di Aragorn...
    Capolavoro! ❤

    RispondiElimina

Lascia un commento più o meno misterioso riguardo quello che pensi di questo post, o del blog in sé, o di Martino.
Dacci un feedback, grazie!